Ivrea-Mombarone 2016 Buon 40°anniversario

Ivrea, (TO) Piemonte

18 Settembre 2016

Nella vita ci sono eventi che restano indelebili, eventi che ti segnano e che tu cerchi per rivivere emozioni delle quali il tuo cervello ma soprattutto il tuo cuore si nutrono, ecco uno di questi eventi si chiama Ivrea-Mombarone.

Quest’ anno avevo deciso di tentare il personale, ma una serie di eventi e sicuramente la cosa più vera è che non ho avuto la testa e la mentalità giusta, mi hanno portato a non prepararmi come avrei dovuto, decido solo agli inizi di Settembre di iscrivermi, provo alcuni pezzi e mi rendo conto di non aver grosse velleità di tempo, ma con la mentalità dei ciclisti di un tempo le gare vanno onorate e cosi sarà.

Arriva la terza domenica di Settembre, il sabato sera giove pluvio ha deciso di fare festa e ha scaricato acqua a più non posso. La sveglia suona presto, l’ orecchio apre bene il timpano per cercare di captare un possibile tintinnio di pioggia, ma tutto tace. Non mi importa più di tanto il clima, anche perché il mio anno migliore è stato quando il pioggia e freddo hanno fatto capolino e forse proprio in queste condizioni mi esalto. Faccio piano per non disturbare la famiglia, Alice e Matteo restano a casa, non avrebbe senso farli venire con il tempaccio. Inizia la colazione di rito, quella dove non sai mai se ti stai alimentando in maniera corretta in base all’impegno che dovrai affrontare. Questa è l’unica gara che temo veramente perché non sai mai il tuo corpo come reagirà, sia allo sbalzo climatico dalla pianura alla montagna che allo sforzo profuso per arrivare in colma. Parto da casa, appena uscito da Cigliano uno scrosciare d’ acqua si abbatte sul parabrezza, appena passato Moncrivello come per magia smette di piovere e inizio a scrutare la cima del Mombarone, la vetta mi appare tagliente sullo skyline, non ha nevicato ed è una buona notizia.

Arrivo a Ivrea e inizio a respirare aria di gara, da qualche auto parcheggiata l’ aria si inebria di quell’ odore di canfora che solo alle gare podistiche riesci a respirare. Piazza Ottinetti è ancora vuota, ritiro il pettorale, mi assalgono una marea di dubbi su cosa indossare, a Ivrea tutto sommato non fa freddo ma su in cima sicuramente non saremo a Copacabana, ma se ti copri troppo poi patisci il caldo sotto e via via una serie di seghe mentali che mando presto a quel paese, canotta un antivento e i bracciali andranno benissimo se batti i denti ti fai furbo. Intanto la piazza si sta riempiendo, rivedo i soliti afficionados della gara e fa sempre piacere incontrare persone che magari vedi solo in queste occasioni ma sai che condividono con te ore passate a salire su quei sentieri durante i mesi estivi, ognuno ha i suoi tempi ognuno ha dedicato quello che ha potuto, ma alla fine la passione è la stessa per tutti.

Incontro Gianfranco, prendiamo un caffè due parole durante un breve riscaldamento e poi ci avviamo alla punzonatura del chip. Intanto il brusio della piazza è quasi narcotico, ognuno confida i propri timori, le proprie speranze e solo l’ intervento dell’ organizzazione con le ultime raccomandazioni interrompe la caciara di sottofondo. L’ adrenalina inizia a pompare, una morsa allo stomaco comincia ad avvisarmi che ci siamo, tra poco giù il gettone e la giostra inizia il giro. Le teste sono già rivolte ai cronometri lo sparo, tuona, squarcia la via e il tam tam ritmato delle scarpe sul porfido diventa la colonna sonora della città. Via Palestro sembra troppo stretta per ospitarci tutti e appena si apre su porta Vercelli sembriamo uno sciame di vespe impazzite che escono dall’ alveare. Via Circonvallazione è più larga, si possono tenere le traettorie più congeniali, un vero trampolino di lancio verso l’ olimpo dei grimpeur.

Come al solito butto un occhio al gps e come al solito strabuzzo gli occhi nel vedere l’andatura che sto tenendo, la foga della partenza come ogni anno mi trascina in uno stato di esaltazione da quattrocentometrista ma come diceva un signore di mia conoscenza per fare bene alla Momba devi partire forte tenere nella parte centrale e accelerare nella parte alta…… Scherzi a parte si arriva presto in via Sant’ Ulderico e la prima salita fa accorciare la falcata, l’ umidità nell’aria inizia a stimolare la sudorazione e ringrazio di non essermi coperto troppo. In pochi minuti arriviamo al lago Sirio, lungo lo sterrato del muretto lo sguardo non può non andare (come ogni anno) lassù, non ci sono nuvole, e si può ammirare la colma e intravedere la sagoma del Redentore. Credo che chiunque nel pensare di andare sin lassù abbia avuto delle avvisaglie di sana pazzia. Torniamo alla gara, il lago scorre via e inizia la salita continuativa, l’ asfalto della Bacciana comincia a tagliare il fiato, questo tratto l’ ho sempre visto come un termometro della situazione, inizi a renderti conto di come stai realmente, tutto sommato mi sento a posto quindi è buon auspicio. In cima alla salita i primi sostenitori iniziano a darti la dose giusta di incoraggiamento, butto un occhio a dove si metteva sempre mio papà con la Vespa e uno sguardo va in cielo, oggi di sicuro sta guardando. Entro nel bosco con un gruppetto che reputo avere il mio ritmo ideale. Negli anni passati conoscevo a memoria gli appoggi sulle pietre di questo tratto, e ancor oggi che vengo molto meno in questi luoghi, inconsciamente il corpo segue le stesse traiettorie di un tempo. Mamma mia, è sempre bello correre nell’ anello dei 5 laghi, i cambi di ritmo che  questi sentieri ti costringono a tenere rendono piacevole lo sforzo fisico. Con la testa entro in un’ altra dimensione e non mi rendo conto del passare del tempo e soprattutto di dove sto passando, in un batter d’ occhio mi ritrovo a Bienca. Qui il primo riscontro cronometrico dice che sono un po’ in ritardo rispetto la tabella prefissata, ah dimenticavo mi sono tarato per le tre ore.  Primo ristoro, visto che sudo parecchio meglio idratarsi bene, i crampi più avanti sono un bello spauracchio. Iniziano le prime rampe decise, qui visto anche l’ intenso traffico da bollino nero del controesodo il tratto non permette di correre con regolarità. Lungo la mulattiera nel bosco le scarpe mi danno l’ indicazione che non hanno una buona tenuta sulle pietre rese scivolose dalla pioggia notturna. In queste condizioni le gambe lavorano di più. Il trenino sale lungo il sentiero, nell’ aria si sente solo il sibilo ritmato del fiato dei miei compagni d’ avventura e viste le pendenze il suono si fa sempre più forte. Ora si taglia la provinciale e dopo pochi metri di asfalto si torna alla terra, rampa dura che porta nuovamente nel bosco, torno a correre per un breve tratto poi la prudenza prende il sopravvento e rifiato un po’. Ho perso contatto da chi era con me a Bienca ma è giusto che faccia il mio ritmo perché di testa spaccherei il mondo ma la condizione non lo permette. Arrivo nuovamente sull’ asfalto, si torna a correre sino al ristoro del lavatoio di santa Maria, mi sono prefissato di bere parecchio e cosi faccio, mi rimetto in moto arrivo presto ad Andrate, qui come sempre nella piazzetta del panificio e in quella di san Rocco il tifo della gente è una gioia al cuore, una sorta di iniezione di forza direttamente nei polpacci peccato scorra via velocemente questo toccasana, lascio l’ abitato e si prosegue , arrivo a pontile ennesimo ristoro, questa volta più veloce, poi si svolta a sinistra e nuovamente mulattiera. Stranamente io di solito canticchio silenziosamente nella testa una canzone mentre faccio questa gara ma oggi no, nessun brano è diventato la colonna sonora della fatica. Di riflesso però il percorso pare scorrere via velocemente, e infatti dopo i due strappi duri arrivo a san Giacomo. Qui Stefano con un aggeggio bianco in mano rileva l’ intertempo. Butto un occhio al cronometro e sono in tabella, ora spero solo che la distanza non giochi brutti scherzi visto che non ho molti lunghi nelle gambe. Non fa freddo anzi la temperatura è ideale, salgo con un passo che reputo giusto e piuttosto regolare, se qualcuno mi passa non provo a tenerne il ritmo, la gara la faccio su me stesso. I pensieri si intrecciano mentre salgo, vengono in mente momenti in queste zone di gare passate o semplicemente di persone incontrate durante le salite in allenamento, quasi che la testa sia in un’ altra dimensione, non so se sia una giusta situazione o sarebbe meglio essere concentrato più sul momento in se, ma questa dimensione sembra far scorrere più veloce il tragitto. Infatti mi ritrovo presto sul tratto in asfalto, qui accenno una corsa con frequenza corta, ma non faccio un lungo tratto che torno nuovamente a camminare regolare. Arrivo al taglio trasversale sulla pietraia e inizio a intravedere i due omini segnavia di pietra sotto Pinalba, dopo pochi minuti mi appare l’ alpe con relativo ristoro, qui sento la voce di Beppe che mi incita, è un peccato non averlo della partita so che ci tiene a questa gara, una voce amica che incita fa sempre piacere, come fa piacere la gelatina che mi offre Alberto in prossimità del ristoro, soprattutto le papille gustative ringraziano. Torno a correre lungo la carrozzabile, qui la pendenza moderata permette anche di spingere un pochino di più, non appena la strada si verticalizza nuovamente il passo rallenta, ennesimo ristoro a Pian Curtassa e qui come sempre la festa dilaga, grazie ai Fià Curt che ogni anno ne inventano una diversa, li per li non capisco il tema di quest’ anno ( lo scoprirò al rientro che hanno improvvisato in maniera spettacolare un autogrill) sento solo la voce di Max che dal megafono nomina ogni passaggio con il relativo nome e lo incita in maniera goliardica, semplicemente un grande come del resto tutti gli altri componenti di questa allegra brigata! Torno in autostrada e passo la Viona, il sentiero ora è molto fangoso, già normalmente questo tratto è piuttosto umido, oggi dopo la pioggia il pantano incolla la scarpa al suolo, percorro il tratto sotto le baite un po’ timoroso per il viscido delle pietre. Appena passo il crottino in pietra una stilettata al tendine d’ Achille della gamba destra mi avvisa che i crampi avrebbero piacere di essere compagni di viaggio, ma visto che solitamente amo viaggiare con ospiti graditi respingo la proposta e continuo da solo. Questo tratto non ha gradoni particolarmente alti e questo mi aiuta ad allungare un po’ le gambe, certo che mentalmente questo mi condiziona e infatti inconsciamente rallento il passo. Arrivo alla pietraia e qui mi rendo conto di non avere un gran piede montagnino, un paio di perdite di aderenza delle scarpe mi intimoriscono e sembro camminare sulle uova. Lo sguardo va verso il muro di pietra che mi attende e vedo il serpente umano di atleti che in religiosa processione si accinge a scalare l’ arduo passaggio. Fortunatamente i crampi si limitano a qualche leggera stilettata nel solito tendine cosi mi aiuto con le mani nei punti dove la spinta del polpaccio è accentuata. Scollino al lago Pasci, qui la temperatura ora è fredda, spero in un tea caldo ma al ristoro solo liquidi freddi, che comunque bevo visto che la disidratazione sembra essere un’ alleata del crampo.

Dopo il lago il sentiero per un tratto spiana, corro e cerco di allungare i tendini, sino all’attacco della Bocchetta, qui trovo chi mi precede che rallenta vistosamente, in queste situazioni per passarli a volte fai delle accelerazioni che possono essere fatali, scelgo i momba2punti giusti per i sorpassi e arrivo sul colle, reputo questo tratto il più impegnativo della gara, anche perché lo fai con già 19 km nelle gambe e ha dei passaggi dove la gamba deve spingere notevolmente per salire. Cartello dell’ ultimo km, inizia il primo traverso quello più pianeggiante, qui si corre, sono in compagnia di Valanzano, un’ icona di questa gara, un uomo che ha corso tutte e quaranta le riedizioni, insomma uno che conosce pietra per pietra il percorso, seguo ogni suo passo ogni sua traettoria, ho solo da imparare, il tifo che gli attribuiscono sotto il rifugio fa quasi commuovere me. Arriviamo al rifugio, ormai siamo entrati in quella zona dove la testa  è già al traguardo non c’ è più nulla che ti può fermare, sembra quasi come quando dall’ aereoporto agganciano l’ aereo e lo pilotano sino alla pista, ecco qui è la stessa cosa, ritrovi energie e adrenalina che ti portano su, resto dietro quasi in timorosa riverenza, ma Valanzano da vero sportivo mi accenna di passare e cosi faccio. Ormai si sentono le voci dalla colma, un primo traverso, poi all’ inversione a sinistra opto per il percorso più lungo ma meno ripido visto che il tendine ormai e accerchiato dai crampi che avranno trovato un passaggio e mi hanno raggiunto, ma l’atmosfera della colma ormai fa si che la testa non percepisca i dolori, ormai il bersaglio è stato mirato e bisogna fare centro, non starò sotto le tre ore ma va bene cosi, so di aver corso gestendo in modo ottimale quello che era il mio potenziale, manca poco la gente ora è li e grida, gli ultimi gradini e poi anche quest’ anno ho onorato la corsa. Arrivare è sempre una grande emozione!arrivo-momba Fa freddo ma non lo senti, si è creata una sorta di campana di adrenalina che ti anestetizza da tutto, voglio solo godermi il panorama, guardare le cime delle montagne e ammirare l’ immensità dell’ arco alpino. Metto la tutina di carta, il tempo di un tea finalmente caldo e inizio il rientro. Visto che il terreno è scivoloso la prendo con calma e prudenza, scendo da solo e ora mi godo i momenti di salita. A Pinalba lo sguardo va verso la pianura, cerco la collina di Miralta, quando mi alleno a Moncrivello l’occhio va sempre a cercare Mombarone e ora vedere quel punto mi fa tornare in mente tutte le volte che sono stato li. Poi guardo verso Ivrea e come ogni anno mi dico, cavoli prima ero laggiù e in cuor mio cresce la soddisfazione per l’ ennesima Momba ! Un ringraziamento va alla famiglia Zagato che offrendomi un passaggio dopo San Giacomo mi hanno evitato di fare l’edizione vintage salita e discesa. Una considerazione, mentre saliva ho sentito una ragazza che diceva che sarebbe stata la prima e ultima Momba, io le ho gridato vedrai arrivi e domani farai già l’ iscrizione per il prossimo anno. E’ una gara bellissima, porta via tanto tempo prepararla, uno ripensa agli sforzi per allenarsi e alla sofferenza lungo quelle pietraie, ma rispecchia la vita, è dura devi sempre lottare, ci sono punti dove molleresti tutto e punti dove puoi rifiatare, ma è una gara che una volta che ti è entrata dentro non ti lascia più.

Il prossimo anno tenterò il personale, la strada per questo obiettivo è già stata decisa il giorno dopo, tra un anno tireremo le somme. Un ringraziamento non può mancare per mio figlio Matteo che è la vera motivazione della mia vita, e a mia moglie Alice che riesce a sopperire alle ore che dedico nelle mie uscite sportive. Si ringrazia PANTACOLOR per le fotografie.

A presto.

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